ORPHAN – USA/Canada 2009, di Jaume Collet-Serra con Vera Farmiga, Peter Sarsgaard, Isabelle Fuhrman, CCH Pounder
Io certe cose non le capisco.
Figuratevi la situazione. Voi e vostra moglie siete estremamente benestanti, casa vostra sembra progettata da Frank Lloyd Wright; avete due figli di cui una quasi completamente sorda dalla nascita. Vostra moglie, che ha un passato da alcolista e stava per far affogare la bambina sorda nel laghetto perché ubriaca, ha perso la terza figlia in circostanze drammatiche, e ora non può più avere bambini. Dopo anni di terapia, sembra che il trauma si avvii ad essere superato, nonostante la drammatica incompetenza della sua psicanalista.
Con queste premesse, perché, PERCHE’ in nome del cielo vorreste rovinarvi la vita adottando un’altra bambina, per di più già grandicella? Vi meritereste di portarvi a casa una creatura demoniaca e con tendenze omicide o, ancora peggio, una emo che vi riempie la casa di poster dei Tokyo Hotel. Fortunatamente in questo film si tratta del primo caso, altrimenti non so se sarei riuscito a reggerne la visione.
Come nella miglior tradizione dei bambini diabolici, la protagonista di Orphan, Esther, sembra una ragazzina perfetta: educata, intelligente e premurosa, almeno finchè non comincia a spingere gente sotto le macchine o spaccare la testa delle suore con una piccozza. Ovviamente l’unica persona a rendersi conto di tutto questo è la madre, che, ancor più ovviamente dati i suoi trascorsi, verrà fatta passare per una povera pazza, mentre il padre riuscirà a non capire nulla per tutto il film… Il che è particolarmente grave, perché lo spettatore invece ha già capito tutto da un pezzo. La magagna principale di Orphan, infatti, prodotto altrimenti di una certa qualità, è la sua eccessiva prevedibilità. Si capisce facilmente dove la vicenda vuole andare a parare, e le due scene madri del film sono telefonatissime da almeno un’ora prima che avvengano.
Peccato, perché la tensione che bene o male si viene a creare per tutta la prima metà del film non trova una conclusione all’altezza. Quello che rimane è comunque adatto a una serata senza impegno.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO***
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