mercoledì 29 aprile 2009

Shakma - morire per gioco


SHAKMA - MORIRE PER GIOCO
- Shakma, USA 1990, di Tom Logan e Hugh Parks con Christopher Atkins, Amanda Wyss, Ari Meyers, Roddy McDowall, Rob Edward Morris, Tre Laughlin

Il professor Sorensen è un uomo molto impegnato: di giorno si dedica con passione a bislacchi esperimenti sugli animali - nel caso, prendere quello che definisce "l'animale più aggressivo del mondo", ovvero un babbuino di nome Shakma, e iniettargli nel cervello una sostanza atta ad amplificare detta aggressività rendendolo di conseguenza incazzatissimo - e di notte si chiude nell'università deserta con i suoi studenti più dotati (mi immagino come debbano essere gli altri) immergendosi in una specie di gioco di ruolo dal vivo in pieno stile anni 80, con tanto di porte chiuse, enigmi, pergamene, walkie talkie e tutti i crismi del caso, il tutto monitorato da un possente Commodore 64.
Il loro gioco, del quale peraltro è assolutamente impossibile capire funzionamento e regole, ma sembrano tutti divertirsi tantissimo, viene però trasformato in un incubo da una presenza mortifera che si aggira per l'edificio urlando e sbattendosi contro le porte: si tratta ovviamente di Shakma, che, sopravvissuta non si sa come a un'iniezione che avrebbe dovuto mandarla all'altro mondo, si abbandona a un'orgia di sangue.
Una delle caratteristiche tipiche dei film horror/slasher e sottogeneri vari, specialmente quelli con un budget di soldi e di idee molto limitati come in questo caso, è l'incredibile stupidità che guida le azioni dei protagonisti, che in pratica vengono sterminati esclusivamente a causa della loro incapacità di compiere semplicissime azioni che li salverebbero, a riprova delle teorie del professor Darwin.
Ho spesso pensato che si tratti almeno in alcuni casi di una scelta consapevole degli sceneggiatori, con lo scopo di far sentire lo spettatore intelligente di fronte a simili manifestazioni di idiozia e non farlo riflettere sul fatto che lo stupido è lui che sta buttando via del tempo della sua vita per vedere dei pessimi film. Se questa mia ipotesi possa essere vera o meno, ancora non saprei dire: sono sicuro però di un fatto, che i personaggi di questo Shakma sono probabilmente i più imbecilli che mi sia mai capitato di vedere sullo schermo. Si aggirano per i corridoi come dei dementi senza uno scopo, rinunciano a sfondare una porta dietro la quale c'è la salvezza dopo una spallata patetica degna di Stephen Hawkins, non sono in grado di spaccare una finestra per fuggire, l'idea di chiudersi in uno sgabuzzino per qualche ora fino all'arrivo di tutti gli altri studenti e professori non li sfiora nemmeno. A parte una specie di colpo di genio nel finale, è tutto un correre inseguiti dal letale cercopiteco e tener chiuse le porte urlando mentre la belva ci si avventa contro urlando ancora più forte.
E' ovvio che personaggi del genere meritano la fine orrenda che faranno, e in questo senso lo spettatore viene abbastanza soddisfatto. Per il resto non è che ci sia molto da dire, il film è interamente girato in un paio di corridoi, i vari aspetti tecnici si attestano su livelli di scarsezza abbastanza notevole, e gli attori recitano come delle scimmie, molto di più dello stesso Shakma, interpretato da un certo Typhoon, babbuino accreditato nei titoli di coda già attivo nel cinema in parecchie altre pellicole; infatti è senza dubbio il migliore del cast.
Un film sostanzialmente noioso, da due stellette, senz'altro. Però il carisma di Shakma è grande, il look anni 80 scorre potente nel DVD (sarà un caso che la qualità dell'immagine è degno di una videocassetta?)...
Non posso resistere, hai vinto, Shakma.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO *

martedì 7 aprile 2009

House of blood

HOUSE OF BLOOD - Chain reaction, Germania 2006, di Olaf Ittenbach con Christopher Kriesa, Martina Ittenbach, Simon Newby, Wolfgang Mueller

Siamo su una strada interstatale nei dintorni di Seattle, e una serie di casualità provoca un incidente tra la macchina di un medico e un pulmino che trasporta un gruppo di detenuti alla prigione di stato. I detenuti colgono l'occasione al balzo riuscendo ad avere la meglio sui propri guardiani e, preso il medico in ostaggio per prendersi cura di uno di loro ferito, si addentrano nel bosco cercando di raggiungere il confine con il Canada. Strada facendo si imbattono in una catapecchia abitata da una piccola comunità di fanatici religiosi (con tanto di altarino e crocifisso dentro casa) ma mettere piede nella "house of blood" si rivelerà un terribile errore...
Per fare una disamina di questa pellicola, occorre iniziare dalle sue premesse. E' un film splatter tedesco girato on video con un budget praticamente inesistente, e il regista, nonostante abbia al suo attivo una decina di film dei quali questo house of blood è il primo ad arrivare in Italia, è conosciuto più che altro come tecnico degli effetti speciali prostetici, principalmente per i capolavori di Uwe Boll. E già si è detto tutto. (se non sapete chi sia questo Uwe Boll, shame on you! vi dico solo che è considerato il peggior regista del mondo)
è evidente che la principale fonte d'ispirazione di questo film è dal tramonto all'alba, e più in generale il lato più sanguigno (è proprio il caso di dirlo) della produzione tarantinian-rodrigueziana, condito con abbondanti spruzzate del Sam Raimi dei tempi d'oro. Ma il tutto, ovviamente, realizzato con una sciatteria come raramente mi è capitato di vedere. Perchè se in un paio di momenti possiamo assistere a movimenti di macchina complessi e anche interessanti (addirittura delle carrellate ad effetto) che devono aver prosciugato gran parte delle esigue risorse finanziarie in mano al regista, e se gli effetti splatter sono generalmente piuttosto buoni, il resto è abominevole. Gli attori fanno rivalutare le fiction italiane, la direzione della fotografia sembra inesistente, e per buona parte del film (tutta la prima metà, in pratica) le vicende sono costantemente sottolineate da un commento musicale orribile degno di un film porno degli anni 70, che raggiunge il suo apice con una interminabile sequenza in cui ci viene mostrata un'operazione ai testicoli, il tutto con una musichetta allegrissima totalmente fuori luogo. Sulla sceneggiatura, un delirio senza capo nè coda infarcito da dialoghi esilaranti (su tutti uno dei detenuti che si atteggia ad Hannibal Lecter dei poveri citando Oscar Wilde, Nietszche e Freud a sproposito) credo che sia il caso di stendere un velo pietoso.
Grazie a tutte queste "qualità", il film non annoia e diverte parecchio, i livelli di gore sono ottimi e abbondanti, e alcune scene da antologia provocheranno omeriche risate negli spettatori. Naturalmente raccomando la visione con la compagnia giusta...
IL GIUDIZIO DEL CRITICO *

sabato 4 aprile 2009

Ong Bak 2

ONG BAK 2 - Thailandia 2008, di Tony Jaa con Tony Jaa, Sorapong Chatree, Sarunyu Wongkrachang

Solitamente la mia pigrizia mi impedisce di guardare film che non sono usciti nella nostra lingua. Quelli che già conosco e apprezzo li vedo rigorosamente in inglese in DVD, ma mi fa un po' fatica la prima visione con i sottotitoli, che in questo caso sono obbligati, trattandosi di un film tailandese che dubito raggiungerà mai i nostri scaffali, per non parlare delle sale cinematografiche. E' doverosa una digressione su Tony Jaa: questo mostro della natura sale alla ribalta nel 2003 con il film Ong Bak. Si trattava di una classica pellicola a base di arti marziali, ma le sue incredibili doti fisiche e gli splendidi combattimenti che finalmente mostravano in un degno film la bellezza della Muay Thai, l'antica arte marziale tailandese, resero questo film un grande successo in patria, e andò bene anche in occidente grazie a Luc Besson che (dopo averlo rimaneggiato in modo discutibile aggiungendo una sorta di replay e cambiando le musiche con l'aggiunta di abominevole rap francese per renderlo più cool) lo distribuì in Europa. La seconda fatica dell'attore fu The protector, dove le mazzate aumentano a livello esponenziale e raggiungono livelli stupefacenti, in particolare in un'incredibile piano sequenza lunghissimo e complicatissimo dove le ossa rotte si contano sull'ordine delle centinaia. Purtroppo i distributori nostrani ebbero la splendida idea di fare al film lo stesso trattamento che riservarono ai tempi all'ottimo Shaolin Soccer (e in dose leggermente minore, a Kung Fusion): tagliarono circa mezz'ora di film rendendolo letteralmente incomprensibile, con personaggi che appaiono e scompaiono e passaggi logici completamente assenti. L'orribile doppiaggio, anche se per fortuna i calciatori di serie A questa volta non erano coinvolti, metteva l'ultimo chiodo sulla bara di questo film che da noi penso abbiano visto in dieci.
Ma la popolarità di Tony Jaa in Thailandia era ormai enorme, e si pensò di affidare a lui il seguito del suo film più famoso, anche in veste di regista. Dopo mesi di lavoro, soverchiato dallo stress di gestire una produzione così grande e complessa (credo che si trattasse del film più imponente mai girato in Thailandia), e alle prese con lo sforamento del budget già sostanzioso, Tony fuggì nella foresta e nessuno seppe che fine aveva fatto(sul serio). Ricomparve poi a una trasmissione televisiva dove chiese perdono per il suo fallimento in lacrime come un bambino.
Il perdono giunse sollecito, Tony si rimise al lavoro e finì il suo film, che è esattamente quello di cui sto per parlare.
Questo Ong Bak 2 non c'entra nulla (o quasi) con il suo predecessore, trattandosi di un film in costume ambientato nel quindicesimo secolo: è a tutti gli effetti una versione tailandese dei wuxia plan cinesi (ovvero i vari Hero, La tigre e il dragone, ecc), genere cinematografico che io detesto, ritenendo detti film cinesi noiosi e ridondanti in modo quasi insopportabile. Per nostra fortuna questa volta tutto scorre molto più rapidamente e piacevolmente, con alcune scene di sicura efficacia, ed è supportato da un comparto tecnico di tutto rispetto: magari producessero un film di questa qualità in Italia...
Senza stare ad annoiarvi con la trama, comunque piuttosto semplice, vi posso assicurare che siamo di fronte a un dignitosissimo film d'azione e avventura, e che la ricercatezza degli ambienti e dei costumi, esteriorizzazione di una cultura così antica e raffinata a noi però totalmente sconosciuta, rende la visione affascinante.
Naturalmente non mancano i difetti: una certa ingenuità di fondo, che fa il paio con la solita regia orientale pomposa, e soprattutto la scarsità di combattimenti. Non che manchino, ma con i due film precedenti ci eravamo abituati a ben altro, e io ammetto che mi aspettavo un'ora e mezza di Tony Jaa che prendeva a calci il mondo, e lui ha invece cercato di fare un film "serio" e pure "artistico", se vogliamo.
Non che sia un male, ma dai commenti che sto leggendo in rete in questi giorni, noi fan volevamo le mazzate....
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ***
NB - la versione visionata è ovviamente in tailandese, per fortuna qualche anima pia ha realizzato i sottotitoli in italiano...

giovedì 2 aprile 2009

Gran Torino

GRAN TORINO - USA 2008, di Clint Eastwood con Clint Eastwood, Bee Vang, Ahney Huer, Geraldine Hughes

I film di Clint Eastwood sono come i videogiochi della serie di Zelda o di Super Mario. Gli elementi che contengono sono grossomodo sempre gli stessi, e anche se non tutti gli episodi sono dei capolavori (ma alcuni lo sono eccome), riescono sempre a conquistarti.
Questo Gran Torino, ultimo film di Eastwood come attore, ne è un esempio classico. Il rapporto del protagonista Walt Kowalski con la sua famiglia, quello con il parroco, sembrano uscire dritti dritti da precedenti lavori del regista/attore.
E se vogliamo analizzare la sceneggiatura ci rendiamo facilmente conto di come questa storia di yankee vecchio e fascista che odia tutti gli stranieri ma poi scopre che non sono così male, sia una cosa trita e ritrita, già vista mille volte. man mano che il film avanza scopriamo di poter prevedere praticamente tutto ciò che succederà sullo schermo con una buona mezz'ora di anticipo. Però...
Però il vecchio Clint mi ha fregato un'altra volta. Certo, non siamo di fronte al suo film migliore (che è, a mio avviso, Gli spietati), ma come si fa a non ghignare vedendo la rabbia trattenuta di Walt alle prese con gli Hmong o ancor peggio con i nipoti? come si fa a non intenerirsi quando lo vediamo sciogliersi? e soprattutto, come si può non tifare per lui quando dimostra di essere veramente il duro più duro che c'è, facendoci tornare alla mente il 1969, quando insieme a Richard Burton costituiva la coppia di duri più fica mai vista al cinema nell'immenso Dove osano le aquile, alla faccia dei ridicoli modelli maschili del cinema di oggi perfettini, mezzi emo, mezzi gay, mezze cartucce? Ma sto divagando.
In effetti si può dire che senza di lui nel ruolo di indiscusso protagonista, la pellicola sarebbe passata completamente inosservata, nonostante tutto non posso parlarne male. Perchè quando un film riesce a farti entrare in empatia con i suoi protagonisti significa che ha colto nel segno in qualche modo, e il magone che verrà alla maggioranza degli spettatori quando cominceranno a scorrere i titoli di coda credo che significhi qualcosa. E poi è così bello ogni tanto disintossicarsi del cinema chiassoso e saturo di spettacolarità che va tanto al giorno d'oggi, per tuffarsi in una messa in scena scarna in modo quasi esagerato, ma funzionale alla storia narrata, che in effetti quello è, una vicenda di tutti i giorni (almeno in America, forse).
E' possibile che questo film non meriti le quattro stelle, ma darne solo tre mi pare ingiusto nei confronti del grande vecchio del cinema americano. Un uomo che alla sua età ha ancora voglia di mettersi davanti alla macchina da presa per un'ultima volta e cercare di emozionarci, merita tutto il nostro rispetto e la nostra ammirazione. E perchè no, anche il nostro affetto. Il mio ce l'ha di sicuro. Grazie Clint.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ****