lunedì 30 novembre 2009

L'esorcismo di Emily Rose


L'ESORCISMO DI EMILY ROSE - The exorcism of Emily Rose - USA 2005, di Scott Derrickson con Tom Wilkinson, Laura Linney, Jennifer Carpenter, Joshua Close

Nel 1970 due preti cattolici furono processati in Germania per aver causato la morte della giovane Annaliese Michel nel corso di un esorcismo. Questo film racconta la storia di quel processo, ovviamente trasportato in America e con i dovuti aggiustamenti alla vicenda, soffermandosi a lungo sulla possessione demoniaca della sfortunata ragazza attraverso numerosi flashback. Possiamo quindi vederla parlare lingue sconosciute, sfoggiare una forza sovrumana e mettere in pratica il manuale del perfetto indemoniato, in una serie di scene piuttosto banali che non aggiungono nulla a quanto non si sia già visto in decine di altre pellicole, e non riescono assolutamente a raggiungere lo scopo per cui presumibilmente sono state girate, ovvero spaventare. In effetti, stupisce leggere di come ci sia chi è rimasto sconvolto da questo film, che di horror ha ben poco. Credo che in questo giochi un ruolo fondamentale il fatto che tutto ci venga presentato come una storia vera, cosa che può aver impressionato il pubblico meno smaliziato: basta infatti una rapida ricerca per scoprire che il libro su cui si basa il film - che di per sè è quasi tutto inventato - è opera di una parte in causa, fonte molto poco oggettiva; quindi ecco l'avvocatessa interpretata da Laura Linney diventare quasi una santa, lei stessa in lotta contro le forze del male nonchè contro un pubblico ministero particolarmente sgradevole nel suo deprecabile tentativo di evitare che un'aula di tribunale si copra di ridicolo accettando testimonianze e indizi basati su questioni di fede personale quando non su vere e proprie superstizioni. Se il film in qualche modo riesce a galleggiare per gran parte della sua durata in una specie di equidistanza tra le due possibilità, nel finale ci viene propinato un tripudio di propaganda per cui viene il sospetto che parte del nostro otto per mille sia finito a finanziare questo film: in un delirio di spaventosi clichè, il processo si conclude con una sentenza completamente folle (e diversa da quella che fu emessa in realtà) che il giudice si inventa sui due piedi: almeno Santi Licheri si concede il tempo di uno stacco pubblicitario prima di decidere la sorte di un condomino poco incline al rifacimento del lastrico solare.
Abbiamo giusto il tempo di ammirare il carattere della protagonista, che rifiuta la promozione a cui tanto aspirava, prima che il sipario cali su questa fiera del luogo comune liberando gli spettatori non da presenze diaboliche, ma da qualcosa di molto più reale e sgradevole: la noia.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO**

lunedì 26 ottobre 2009

2035: The Mind Jumper

2035: THE MIND JUMPER - USA/Bulgaria 2007, di Terence H. Winkless con Maxwell Caulfield, Alexis Thorpe, Todd Jensen, Stefan Ivanov, Mike McCoy

A una persona che decide di far iniziare il proprio film con la scritta NIGHTMARE CITY - 2035 facendola seguire da una panoramica della città tipo blade runner (ovviamente però la città è fatta malissimo), io non posso che fare tanto di cappello.
Sì, perchè se tu, regista, pensi che un incipit del genere possa essere in qualche modo a effetto, e non predisponga invece il pubblico a ridere ancora di più di te e di quella miserabile pagliacciata che è il tuo film, allora significa che sei un po' fuori dal tempo, che forse ci credevi, in quello che facevi; in questo caso non posso non volerti un po' di bene.
Ora, giusto per darvi un po' di coordinate per capire di cosa si tratta, siamo a metà tra Matrix e Essi Vivono: nel futuro, il governo ha impiantato dei chip nelle teste delle persone che gli fanno vedere la città tutta bella e luccicante mentre è tutta diroccata e si mangiano i panini coi vermi senza saperlo. (una delle scene più belle del film: il panino sembra disgustoso anche nella versione "col chip" cioè senza vermi) Ovviamente dei coraggiosi ribelli capitanati da una tizia che è stata il primo esperimento della suddetta tecnologia ed è perciò praticamente onnipotente, riescono a portare dalla loro parte un poliziotto, il Bruce Willis dei poveracci, e danno l'assalto al regime crudele e oppressivo.
Le armi del futuro sono micidiali: le pistole sono uguali a quelle di adesso, solo che sparano dei raggi che fanno molto meno danno dei proiettili, ma mantengono il gusto retrò del suono dell'otturatore che sbatte a vuoto quando si scaricano. Le automobili - quando non sono delle Skoda vecchie già oggi - sono talmente avanzate che cambiano forma da un'inquadratura all'altra e restano illuminate nello stesso modo anche quando passano sotto l'ombra (qualcuno mi ha suggerito che sia la CG scadente a causare questo effetto, ma sono persone aride e senza fantasia). E così, tra botte e sparatorie, si giunge ad un incredibile finale con tanto di folla oceanica composta da una ventina di comparse platealmente moltiplicate al computer, ma credo sia un effetto voluto per intendere che sono uguali perchè la società le ha rese così, e poi da circa metà film in poi una curiosa patina gialla comincia ad avvolgere tutte le inquadrature, e...
Vabbè, insomma, avete capito. E' ovvio che la sceneggiatura non ci prova neanche a cercare di salvare il salvabile, dato che sembra scritta da un ragazzino di 12 anni.
In effetti, tutto il film sembra realizzato da un bambino di 12 anni, che quando deve inventarsi il nome del tizio che appare sui maxischermi a fare lo spot del microchip (che però è obbligatorio) non riesce a trovare di meglio che chiamarlo signor Speaker. Il tutto con la differenza che quando il dodicenne cresce in genere i suoi puerili tentativi di scrivere un libro o disegnare un fumetto preferisce tenerli in un cassetto, e ogni tanto riguardarli provando una dolce nostalgia per l'innocenza perduta...Pare che invece qualcuno abbia il coraggio di considerarli ancora validi e farci sopra un film. Tanto meglio per lui, e per noi che ci possiamo divertire alle sue spalle.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO *

PS - Questo capolavoro si trova facilmente in italiano, malgrado ciò questa è la prima e unica recensione che troverete sulla rete, fatta eccezione per alcuni deliri che ho trovato su blog di complottisti fanatici che credono che il film riveli grandi verità. Mi scuso inoltre per la locandina tagliata, ma è l'unica immagine che ho trovato con una risoluzione accettabile...

martedì 20 ottobre 2009

Orphan

ORPHAN – USA/Canada 2009, di Jaume Collet-Serra con Vera Farmiga, Peter Sarsgaard, Isabelle Fuhrman, CCH Pounder


Io certe cose non le capisco.

Figuratevi la situazione. Voi e vostra moglie siete estremamente benestanti, casa vostra sembra progettata da Frank Lloyd Wright; avete due figli di cui una quasi completamente sorda dalla nascita. Vostra moglie, che ha un passato da alcolista e stava per far affogare la bambina sorda nel laghetto perché ubriaca, ha perso la terza figlia in circostanze drammatiche, e ora non può più avere bambini. Dopo anni di terapia, sembra che il trauma si avvii ad essere superato, nonostante la drammatica incompetenza della sua psicanalista.

Con queste premesse, perché, PERCHE’ in nome del cielo vorreste rovinarvi la vita adottando un’altra bambina, per di più già grandicella? Vi meritereste di portarvi a casa una creatura demoniaca e con tendenze omicide o, ancora peggio, una emo che vi riempie la casa di poster dei Tokyo Hotel. Fortunatamente in questo film si tratta del primo caso, altrimenti non so se sarei riuscito a reggerne la visione.

Come nella miglior tradizione dei bambini diabolici, la protagonista di Orphan, Esther, sembra una ragazzina perfetta: educata, intelligente e premurosa, almeno finchè non comincia a spingere gente sotto le macchine o spaccare la testa delle suore con una piccozza. Ovviamente l’unica persona a rendersi conto di tutto questo è la madre, che, ancor più ovviamente dati i suoi trascorsi, verrà fatta passare per una povera pazza, mentre il padre riuscirà a non capire nulla per tutto il film… Il che è particolarmente grave, perché lo spettatore invece ha già capito tutto da un pezzo. La magagna principale di Orphan, infatti, prodotto altrimenti di una certa qualità, è la sua eccessiva prevedibilità. Si capisce facilmente dove la vicenda vuole andare a parare, e le due scene madri del film sono telefonatissime da almeno un’ora prima che avvengano.

Peccato, perché la tensione che bene o male si viene a creare per tutta la prima metà del film non trova una conclusione all’altezza. Quello che rimane è comunque adatto a una serata senza impegno.

IL GIUDIZIO DEL CRITICO***



martedì 29 settembre 2009

JCVD


JCVD - Francia/Belgio/Lussemburgo 2008, di Mabrouk El Mechri con Jean-Claude Van Damme, François Damiens, Zinedine Soualem, Karim Belkhadra, Jean-François Wolff

Nell'ufficio postale di una cittadina vicino a Bruxelles è in corso una rapina. Un fatto di cronaca che difficilmente meriterebbe la ribalta internazionale, se non fosse che il malvivente che tiene in ostaggio clienti e dipendenti non è altri che Jean-Claude Van Damme, e ovviamente i media si scatenano, orde di fan si presentano davanti al luogo del delitto, e il povero commissario Bruges, assillato dal comandante della squadra speciale che vorrebbe fare irruzione, non sa che pesci pigliare. Ma tutto non è come sembra, Van Damme in realtà non c'entra nulla ed è lui stesso un ostaggio degli scalcinati criminali...
Ecco un perfetto esempio di film che merita due giudizi separati. Perchè, al di là dell'effettivo valore del prodotto (che non è affatto basso, peraltro), chi di noi, ragazzi degli anni 80, non è cresciuto a pane e Van Damme? Certo, crescendo abbiamo capito che è un imbecille, e che come artista marziale non valeva niente, ma come scordarsi Senza esclusione di colpi visto di pomeriggio con gli amici delle medie, o il piacere di pronunciare la mitica frase "sanguini come may-lee", magari dopo aver sconfitto un compagno a Sensible Soccer?
Insomma, qui si entra nel magico mondo dei ricordi, cosa molto pericolosa per chi dovrebbe giudicare un film in modo oggettivo, quindi torniamo sul film, che è senza dubbio piacevole. La vicenda narrata è estremamente semplice e lineare, ma la struttura narrativa non cronologica la rende interessante e coivolgente, e il ritmo si mantiene sempre buono. Incredibile a dirsi, lo spettatore comincia veramente a immedesimarsi e tifare per l'attore belga, vittima degli eventi del suo personale pomeriggio di un giorno da cani, reduce dalla causa per l'affidamento della figlia, costretto a inanellare un flop dietro l'altro per racimolare un po' di contante, prigioniero di un successo che non c'è più. Un'operazione del genere rischia di risultare patetica, ma quando Van Damme comincia a guardare in camera e parla direttamente al suo pubblico con il cuore in mano in un monologo-confessione di sei minuti (riuscendo anche a recitare in modo assolutamente dignitoso), ci rendiamo conto che il gioco metacinematografico è riuscito, e che il mr muscolo di Bruxelles merita i nostri applausi.
Ovviamente il merito della riuscita dell'operazione (il film, presentato al festival di Roma, ha avuto un ottimo successo di critica) non è solo del suo protagonista, ma anche del regista e sceneggiatore Mabrouk El Mechri, che sfrutta abilmente il materiale a disposizione proponendoci un riuscito mix di commedia, suspance e un pizzico di dramma, in particolar modo nel finale dolceamaro. Adeguato il largo uso, quasi documentaristico, della telecamera a spalla, peccato per la scelta di una fotografia praticamente monocromatica, decisamente eccessiva. Ma sono piccolezze; quello che rimane è un film riuscito, e tanto basta.
Doppio giudizio, dicevo: che non sa chi sia Jean-Claude Van Damme, o lo sa ma non gli interessa (che persone tristi), tolga pure una stellina dal mio giudizio. Per quanto mi riguarda, questo è il film che mi ha riconciliato con un vecchio amico.
Nat-su-kao!
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ****

lunedì 31 agosto 2009

Diary of the Dead

DIARY OF THE DEAD - USA 2008, di George A. Romero con Michelle Morgan, Joshua Close, Shawn Roberts, Amy Lalonde, Joe Dinicol

C'è chi sostiene che George Romero ha in pratica azzeccato i suoi primi splendidi zombie movies per caso, e poi è vissuto di rendita realizzando film che vanno dal passabile al brutto con l'andare degli anni.
C'è chi sostiene che il ritorno agli zombie avvenuto nel 2005 con Land of the Dead faccia schifo, un film che fallisce sia dal lato action/horror, che da quello del messaggio politico-sociale, da sempre marchio di fabbrica del cineasta di Pittsburgh: troppo urlato, banale.
Inevitabilmente lo stesso genere di critiche si è abbattuto anche su quest'ultimo episodio della saga dei morti viventi; ormai il cinema di genere si è evoluto, gli zombie corrono come centometristi, metafore troppo facili, Danny Boyle di qua, Zack Snyder di là, eccetera.
Ma neanche per idea. D'accordo, 28 giorni dopo è un gran bel film, ma non scherziamo con il maestro. Land of the Dead è secondo me un film godibilissimo, piacevolmente old fashioned, con uno stile un po' alla Carpenter, che nonostante i suoi difetti (ne ha, senz'altro) fa egregiamente il suo lavoro e diverte.
Questo Diary significa una sorta di ritorno alle origini: Romero ha dovuto arrabattarsi e fare un film a basso costo, in digitale, con attori sconosciuti (e per ottime ragioni: diciamo che il cast non è proprio l'aspetto migliore della produzione), ma grazie a questi motivi, è un film onesto.
Si vede che George questa volta non era legato a major e produttori assillanti, e il risultato è molto buono. L'aspetto da mockumentary è sicuramente un'idea non nuova, ma l'argomento viene trattato attraverso le lenti degli occhialoni del regista, in modo personale. La sua visione è lì, sullo schermo, adattata alle nuove tecnologie, ma in realtà la stessa da quarant'anni, e il messaggio non può che adattarvisi nella forma. Il dito accusatore di Romero viene puntato contro i media e le loro responsabilità nell'occultamento della verità: (e noi italiani ne sappiamo qualcosa ultimamente...) esemplare il cameo del regista nei panni del capo della polizia, intento ad insabbiare gli eventi...
Non siamo di fronte, ahimè, ad un capolavoro: il film è imperfetto, il finale è affrettato e in alcuni passaggi gira un po' a vuoto: ma qua e là fanno capolino scene degne del loro artefice, e chi ha visto il film non potrà non ricordarsi per sempre Samuel, l'Amish sordomuto, protagonista di un paio di sequesnze memorabili. Per quanto mi riguarda, sono cose che valgono cento volte la valanga di film sugli zombie che stanno uscendo negli ultimi anni, tutti uguali, tutti dimenticabili (con qualche eccezione, naturalmente).
Per quanto mi riguarda, Diary of the Dead è un'opera nel complesso validissima, e chi dice che Romero ha fatto la fine di Dario Argento non capisce niente di cinema.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ****
PS - Dato che nessuno si è degnato di distribuire il film in Italia, la versione visionata è in inglese con sottotitoli. Il che è molto meglio, data la natura da finta presa diretta del film, che sarebbe stato senz'altro rovinato dal doppiaggio.

giovedì 27 agosto 2009

Asylum

ASYLUM – USA 2008, di David R. Ellis con Sarah Roemer, Travis Van Winkle, Mark Rolston, Andrea Powell, Aaron Blomberg

Pare che i cimiteri indiani non siano più a buon mercato come una volta. Per fortuna esistono ancora moltissimi ex-ospedali psichiatrici diretti da un dottore pazzo e sadico, ristrutturabili a basso prezzo, per poterci costruire sopra chessò, un bel campus universitario, con tanto di tavolo professionale da texas hold'em, tv al plasma e palestra (dotata di vetri anti sfondamento, chissà perchè). sarà forse un caso che in questo campus nessuno va mai a lezione? Tutto sommato le matricole, appena giunte nell'università, fanno bene a divertirsi finchè possono, dato che il fantasma (molto corporeo a dire il vero) del direttore del manicomio giungerà molto presto da loro, animato da buoni propositi: aiutarli a risolvere i propri problemi personali, ma un po' brusco nel metterli in pratica, ovvero grazie a due punteruoli da lobotomia che vanno in genere infilati negli occhi. A scatenare la sindrome da crocerossina del simpatico fantasma è una curiosa coincidenza: i nuovi studenti presentano una varietà di disturbi della personalità notevolissima: si va dalla protagonista che ha visto suicidarsi il padre e il fratello, all'ex-obeso ora palestrato, al nerd genio ma tormentato, poi abbiamo una che aveva il fidanzato violento, un ex-tossicodipendente, un'altra ragazza autolesionista....insomma, pane per i denti del dottor Burke, che si mette subito al lavoro di buona lena per “curarli”…

Ecco, io a un film così non so proprio che giudizio dare. Perché tecnicamente vale due stelle, realizzato in modo sufficientemente professionale da non essere un abominio, ma si attesta comunque su livelli molto bassi; (una particolare nota di demerito per il direttore della fotografia, che decide di illuminare con uno splendido neon giallino tutte le scene in cui appare il sanguinario psichiatra) la banalità della trama, dei personaggi e dei loro rapporti è estrema. Però bisogna anche ammettere che nel complesso è abbastanza divertente, il villain è azzeccatissimo (memorabile la scena in cui si strappa il camice mostrandoci un fisico un po’ appesantito ma ancora tonico per essere morto da decenni, con tanto di piercing, catene sadomaso e capezzoli turgidi) e gli scannamenti piuttosto gustosi. Inoltre sono non si sa come riusciti ad azzeccare un paio di dialoghi, su tutti l’ex-ciccione alle prese con la visione dell’odiata madre. Per finire, c’è pure una scena in cui l’antipatica protagonista ci mostra le tettine e le chiappette.

Insomma, è una stupidata, ma non annoia e diverte abbastanza. Per una serata d’estate senza impegno, si può guardare: non me la sento di stroncarlo.

IL GIUDIZIO DEL CRITICO ***



domenica 9 agosto 2009

Kolobos - Trappola infernale


KOLOBOS - TRAPPOLA INFERNALE
- Kolobos - USA 1999, di Daniel Liatowitsch e David Todd Ocvirk con Amy Weber, Donny Terranova, Ilia Volokh, John Fairlie, Linnea Quigley

Quando si dicono i casi della vita: l'ultima volta ho chiuso invocando Linnea Quigley ed eccola spuntare a sorprea qui, in questo ennesimo slasher movie. Un po' diversa da come la ricordavo, cioè giovane e nuda in svariati film degli anni 80, ma del resto gli anni passano per tutti.
E infatti, sarà un caso (oltretutto la sua parte è davvero piccolina) ma questo film si è rivelato migliore di quello che credevo nella mia ricerca di trashate da una stelletta.
Naturalmente non possiamo aspettarci niente di nuovo sotto il sole, se non l'ennesima rivisitazione del tema gruppo di ragazzi chiusi per qualche motivo in una casa dove qualcuno si diverte a scannarli. Con una simile premessa, il punto focale che determina la riuscita o meno della pellicola non diventa più il cosa, ma il come. Quasi tutti i prodotti di questo tipo falliscono miseramente proprio su questo aspetto, presentando una messa in scena magari anche professionale, ma mancando completamente di qualunque anche piccolo guizzo di inventiva.
In Kolobos qualcuno di questi guizzi c'è. Parliamoci chiaro, niente di sconvolgente: la trama è quella che è, e c'è qualche difficoltà a capire il finale (interessante esempio: è telefonato dalla prima scena, però poi viene lasciato molto in sospeso). Però il lavoro sui personaggi e i dialoghi è quasi accettabile, e i vari ammazzamenti sono ben congegnati e abbastanza divertenti: addirittura uno fa pure impressione, il che è senza dubbio un bel successo.
Pare inoltre che la personalità borderline della protagonista sia stata rappresentata sullo schermo in modo plausibile, cosa che ha suscitato il plauso del mio amico psicologo.
Quindi sarà il caldo che mi da alla testa, ma la sufficienza a questo Kolobos io la voglio dare. Non aspettatevi Kubrick, ma si può vedere.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ***

giovedì 30 luglio 2009

PIÑATA - L'ISOLA DEL TERRORE


PIÑATA - L'ISOLA DEL TERRORE - Demon island - Survival island - USA 2002, di David & Scott Hillenbrand con Nicholas Brendon, Jaime Pressly, Garrett Wang, Eugene Byrd

Una pignatta assassina.
No, non so se mi sono spiegato bene: UNA PIGNATTA ASSASSINA, una fottutissima stoviglia dotata di braccine e gambine che va in giro ad ammazzare i soliti ragazzotti americani impegnati in un gioco da cerebrolesi.
Può un'idea così luminosa deludere le nostre aspettative? Può non meritare l'onore della singola stelletta che sembra le spetti di diritto senza dubbio alcuno, leggendo la sinossi?
Per nostra disgrazia, può.
La delusione è destinata a crescere man mano che si prosegue nella visione del film: dopo un fantastico prologo in cui ci un narratore particolarmente pomposo ci spiega con enfasi l'origine della pignatta mortale, cominciamo a sprofondare nelle sabbie mobili della noia.
Mi pare evidente che un progetto del genere può emergere dalla massa dei prodotti analoghi solo in un modo: presentando un nemico carismatico e ammazzamenti sufficientemente divertenti e truculenti... e qui ci erano quasi riusciti; la pignattona è parecchio assurda nell'aspetto e soprattutto è ferocissima nell'uccidere le sue vittime ed infierire sui loro cadaveri. Ma gli autori hanno rovinato tutto dotandola di diverse trasformazioni che vengono effettuate - mi è parso di capire - a seconda del livello di incazzatura della "pignatta colma di peccato", quindi eccola tramutarsi nel golem dei Motorhead e in una specie di scorfano volante con le manine, e la cosa non funziona affatto. Il colpo di grazia a questo film viene dato nel finale, in cui l'infernale casseruola viene sconfitta mediante uno stratagemma incomprensibile: sul serio, non si sa come facciano, fatto sta che ad un certo punto la nostra giustiziera di terracotta va in mille pezzi.
Perplesso, mentre scorrevano i titoli di testa, pensavo a come sarebbe stato realizzato questo film negli anni 80... sangue a gogo, effetti speciali scrausi invece della anonima computer graphic da quattro soldi di oggi, un sacco di tette e culi (magari anche un po' di pelo)....bah, quanti passi indietro ha fatto il cinema in questi ultimi 20 anni!
E' grande il rammarico, ma non vale la pena perdere il proprio tempo con questa roba, anche se segnalo la performance di una delle attrici, la bionda stupida, che in un paio di scene in cui dovrebbe essere scioccata e sconvolta riesce a regalarci una performance di incredibile inettitudine roteando gli occhi e muovendosi a scatti in modo esilarante.
Linnea Quigley, dove sei?
IL GIUDIZIO DEL CRITICO **

martedì 14 luglio 2009

Quattro carogne a Malopasso

QUATTRO CAROGNE A MALOPASSO – Italia 1989, di Vito Colomba con Salvatore Cipponeri, Tony Genco, Daniele D’Angelo

Per chi, come me, è cresciuto con i primi mitici programmi della Gialappa's Band, Quattro carogne a Malopasso costituisce una sorta di santo graal trash. Questo capolavoro, opera prima e ultima di quel Vito Colomba indimenticabile maestro di regia ai tempi di Mai dire TV, è stato un tesoro inaccessibile per moltissimi anni. Recentemente, grazie alla grande Rete, un anonimo santo che non smetterò mai di ringraziare (ma mi pare che sia un membro del forum di filmbrutti.com) è riuscito a procurarsene una copia dallo stesso regista, e a condividerla col mondo intiero.

Per chi non lo sapesse, QCAM è un film semi-amatoriale girato per un'emittente privata siciliana. Già dai primi istanti di visione si possono capire molte cose: errori di ortografia nei titoli di testa, e la simpatica dicitura "attrezzature di ripresa con mezzi di fortuna" ci mettono dello stato d'animo giusto per goderci la straordinaria epopea di Bill Nelson, cowboy senza macchia che, tornato nella natia Malopasso dopo dieci anni di lontananza (per la precisione, a Sant'Agata) scopre che il paese è nelle mani di una banda di prepotenti, collusi con le cariche pubbliche, e i pochi funzionari onesti rimasti - come lo sceriffo Sem Hoara (sic) - si barcamenano come possono cercando di non farsi ammazzare.

Vi ricorda qualcosa? In effetti, Colomba utilizza un'ambientazione western per fare una metafora della mafia, e la cosa è evidente soprattutto nell’amarissimo finale.

Mi sembra scontato come sia impossibile utilizzare per questo film lo stesso metro di giudizio che si userebbe per un qualunque prodotto commerciale: qui si tratta di una realizzazione amatoriale, e si vede. In particolare gli attori (oltre a essere tutti di una bruttezza estrema, il protagonista è un ceffo patibolare d’altri tempi) sono alle prese con la recitazione per la prima e immagino unica volta nella loro vita, e recitano le loro battute con l’intonazione di chi legge l’elenco del telefono, oltretutto esprimendosi con pesante accento siciliano.

Il sonoro è qualcosa di indescrivibile, musiche, effetti e dialoghi attaccano e staccano a piacimento con volumi a caso, e spesso senza alcuna attinenza con quello che accade sullo schermo: memorabile una sparatoria in piena prateria commentata da rumori di vetri rotti. La costumista e lo scenografo hanno poi stabilito che qualunque oggetto avesse più di 20 anni fosse sufficientemente vecchio per apparire nel film, quindi ecco a voi macchine da cucire Singer, impianti elettrici sulle pareti, impermeabili in similpelle anni 70, e addirittura nell’ufficio dello sceriffo, gli avvisi da ricercato buffi che si fanno a Gardaland. Insomma, una gioia per gli occhi.

A tutte queste splendide caratteristiche aggiungo che – nonostante i dialoghi siano scritti malissimo, e con malissimo intendo che ignorano le più elementari regole della grammatica e della sintassi – gli elementi narrativi che compongono la vicenda sono messi giù in modo sostanzialmente corretto, e addirittura il buon Vito Colomba ci dimostra che riesce ad imbroccare inquadrature ben composte spesso e volentieri: il tutto risulta poi fotografato in modo assolutamente dignitoso per essere una realizzazione a costo zero (e risalente a 20 anni fa, quando di computer manco a parlarne). Così, tra scontri a fuoco con tanto di pistole e cappelli che saltano come nella migliore tradizione, primi piani alla Sergio Leone, effetti speciali stupefacenti e addirittura un paio di scene ben montate (ma giusto un paio), si arriva al finale che, come ho già detto, è amaro e coraggioso.

Ora che è finalmente disponibile, Quattro carogne a Malopasso è una visione obbligata per chiunque ami il trash, ma l’ingenua passione con cui è stato realizzato non consentono che si possa riderne con cattiveria. Honi soit qui mal y pense.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO *

sabato 11 luglio 2009

The Pool

THE POOL - Swimming pool - Germania 2001, di Boris von Sychowski con Kristen Miller, Elena Uhlig, Thorsten Grasshoff, John Hopkins, Isla Fisher

Chi, abitando a Praga, patria della pilsner, ignorerebbe le innumerevoli e deliziose birre locali per scolarsi sempre e solo della triste, insignificante Heineken (oltretutto, il più delle volte in lattina)? Forse solo dei ragazzini yankee deficienti, in pratica il genere di persone che ci si aspetterebbe di vedere morire uno dopo l'altro in uno slasher movie da quattro soldi come questo. Premettendo che la presenza ossessiva del marchio Heineken in praticamente ogni fotogramma del film è la cosa probabilmente più divertente di questa produzione, mi sembra chiaro quanto sia inutile spendere troppe parole per questo ennesimo clone di Scream.
I personaggi sono talmente insignificanti che non si riesce nemmeno a odiarli a sufficienza (l'unico un po' simpatico, il poliziotto panzone, muore subito senza aver fatto assolutamente niente), le scene splatter sono quasi inesistenti, e dopo l'apparizione fugace di un paio di tette siamo messi male anche su quel fronte. L'assassino ha l'interessante dono dell'ubiquità ma per il resto è un cretino, e le sue motivazioni sono risibili. Il tutto si svolge nella maniera più banale e prevedibile che si possa immaginare e naufraga in un oceano di noia.
Ovviamente ai ragazzini pare sia piaciuto dato che è stato prodotto pure un seguito. Un ottimo argomento in mano ai sostenitori dell'eugenetica.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO **

domenica 5 luglio 2009

Lethal Alligator

LETHAL ALLIGATOR - Supercroc - USA 2007, di Scott Harper con Kim Little, Matthew Blashaw

Se esistessero delle gare sullo stile di quelle canine, in cui gli amanti dei film brutti presentano orgogliosamente i propri campioni di stupidità, scovati nei cestoni dei centri commerciali o dopo lunghe ricerche sulla rete, credo che Lethal Alligator avrebbe ottime possibilità di ottenere qualche premio.
E' un film della Asylum, il che è già un bel biglietto da visita. Per chi non lo sapesse, la Asylum è una casa di produzione specializzata nel realizzare squallidi cloni a basso costo di film famosi e farli uscire in genere poco prima dell'originale in modo da gabbare qualche gonzo; in questo caso poi lo squallore raggiunge livelli ancora maggiori, dato che le fonti d'ispirazione per questo gioiellino sono un paio di film a base di coccodrilli che non sto neanche a nominare, data la loro pochezza.
Clone squallido di film già insulsi, dunque: ottima premessa.
Dopo gli ottimi titoli di testa, 7-8 minuti in cui vediamo dei soldati parlare dei fatti loro mentre camminano in un boschetto senza che ci sia dato di sapere il perchè mentre scorrono i nomi di chiunque abbia partecipato anche in maniera minima alla realizzazione della pellicola, compresi addetti al catering, autisti e sarte, il coccodrillone fa la sua comparsa mangiando un paio di persone. Evidentemente ne gradisce il sapore, perchè decide di uscire dall'acqua e sterminare la razza umana: nel frattempo i sopravvissuti girano senza una meta per il bosco (a pochi chilometri da Los Angeles, mica nel mezzo dell'Amazzonia). Per fortuna possono contare sul sollecito supporto dello staff del Generale che, da una stanzetta 4 metri per 3 attrezzata con un paio di computer, coordina tutte le operazioni in modo mirabile. Dopo aver mandato un elicottero a recuperare i dispersi, e dopo che l'elicottero è stato mangiato al volo dal coccodrillo, i poveri soldatini, che poi sarebbero gli eroi della situazione, vengono dimenticati, e si tenta in ogni modo di fermare il rettilone, ad esempio tirandogli dei missili che ovviamente non gli fanno neanche il solletico: la dottoressa Parrot ci spiega che la bestia è assolutamente invulnerabile. Nel frattempo, quattro cialtroni su un Ducato bianco rubano le uova del coccodrillo....
Ma ho perso fin troppo tempo a descrivere l'inutile e stupidissima trama, in realtà il bello di questo film è la qualità infima per cui si distingue in ogni suo aspetto. Per prima cosa, il coccodrillo in CG è ovviamente fatto malissimo,e il riciclo (cambiando i fondali: tra l'altro non ho mai visto un compositing così miserabile) delle poche animazioni realizzate è esageratamente spudorato: ma non è la cosa peggiore del film. i nostri occhi increduli possono assistere a mitra giocattolo spacciati per veri che sparano con un tristissimo effetto fiammata fatto in postproduzione (e dovreste sentire l'effetto sonoro delle detonazioni!). Quando entrano in scena i mezzi militari, veniamo deliziati da immagini di repertorio prese qua e là (con tanto di aerei che cambiano modello da un'inquadratura all'altra) a cui vengono applicati dei pietosi filtri per cercare di uniformare i filmati alla fotografia giallastra del resto del film. Chicca delle chicche, possiamo scompisciarci in una scena della durata di alcuni minuti in cui probabilmente il regista e il direttore della fotografia erano andati a pranzo, e quindi via con le teste dei personaggi tagliate a metà, le inquadrature in cui non è inquadrato NIENTE, o in cui è tutto fuori fuoco...un delirio che consegna definitivamente quest'opera agli annali dei film orrendi.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO *

giovedì 2 luglio 2009

Transformers - La vendetta del caduto

TRANSFORMERS - LA VENDETTA DEL CADUTO - USA 2009, di Michael Bay con Shia Leboeuf, Megan Fox, John Turturro

Il primo Transformers era riuscito a metà.
Soffriva di una parte centrale un po' insulsa, e soprattutto di fastidiose cadute di tono, con i robottoni che giocavano a nascondino nel giardino e dicevano "bella raga". Però si faceva perdonare con scene d'azione fantastiche, per le quali gli applausi agli straordinari professionisti della Industrial Light & Magic non saranno mai abbastanza.
Un sequel, si sa, deve essere "di più" rispetto all'originale se non vuole risultare deludente: inoltre non si è costretti a perdere tempo per presentare i personaggi e l'ambientazione: se si è abili, il secondo film di una serie può venire meglio del predecessore, prima che la motivazione cali con un terzo capitolo che in genere è una schifezza; gli esempi recenti non mancano, come la serie di Spiderman o il Batman di Christopher Nolan (chissà se mi vorrà smentire con un terzo capitolo ancora migliore del secondo, io sono qui che aspetto!).
Il simpatico Michael Bay - anche se sono certo che ci abbia messo pesantemente lo zampino il produttore Steven Spielberg che si è ufficialmente bevuto il cervello già da qualche anno - ha preso questa regola in parola realizzando un kolossal che è a tutti gli effetti "di più" rispetto al precedente. Purtroppo per noi, non ha pensato di fare un'analisi di cosa funzionava e cosa no, quindi ci ritroviamo con una serie di scene fantastiche di robottoni, mazzate, esplosioni, tramonti, elicotteri e casini vari: gli effetti speciali sono incredibili, il talento di Bay nel riprendere questo genere di cose è indiscutibile, e il tutto è una vera gioia per gli occhi e le orecchie. Peccato che dobbiamo sorbirci anche una quantità veramente eccessiva di siparietti "comici" insopportabili.
Ora, dato il successo del primo capitolo e con le spalle parate dal lavoro della ILM nelle scene d'azione, gli omini della Dreamworks avrebbero potuto riempire il resto del film con Bumblebee seduto su uno sgabello impegnato a recitare tutti i "generò" del Vangelo di Matteo e avrebbero ottenuto ugualmente un grande incasso, cosa che infatti sta puntualmente avvenendo. Ma perchè non provarci, a fare un film accettabile anche per i non cerebrolesi? Mi sorge il dubbio di essere io, quello che non capisce, dato che il pubblico in sala se la rideva beatamente.
Rideva vedendo i robot piangere, sbavare e scoreggiare.
Rideva quando la madre del protagonista, dopo aver senza alcuna ragione logica mangiato dei dolcetti alla marjiuhana, dà fuori di matto manco si trattasse di un chilo di LSD in una scena lunghissima, inutile e stupida come me ne ricordo poche.
Rideva per i cagnetti piccoli e buffi che si inculano, per il robottino che si vuole fottere la gamba di Megan Fox (lo posso capire, del resto), per il robot vecchio col bastone (per dio!).
E poi ci sono i due robot gemelli imbecilli che parlano come due rappettari e hanno il dente d'oro, e la scena col nanetto assolutamente inutile, messa lì solo per far dire al pubblico "guarda, c'è quello che faceva l'umpa lumpa!"....E potrei continuare a lungo.
L'impressione è che Michael Bay sia arrivato a metà delle riprese e poi abbia dato il cambio a Neri Parenti. In effetti bastava far doppiare i gemelli ai fichi d'india, Optimus a De Sica, Bumblebee al Cipolla e avevamo già pronto Natale a Cybertron, il nuovo cinepanettone con 200 milioni di dollari di budget. E non mi interessa se il pubblico affolla le sale anche per vedere i cinepanettoni, io mi rifiuto di pensare che sono io quello che non capisce una mazza.
No, mannaggia tutti i santi apostoli, NO. Innanzitutto gli umpa lumpa veri erano arancioni e coi capelli verdi, ma soprattutto questo film è una merda. Ah, ed è INTERMINABILE.
Ammetto che quando i robot si picchiano è una goduria, ma era meglio aspettare il DVD per poter vedere solo le scene coi botti saltando tutto il resto...
IL GIUDIZIO DEL CRITICO **

venerdì 26 giugno 2009

Kaw - L'attacco dei corvi imperiali

KAW - L'ATTACCO DEI CORVI IMPERIALI - Kaw - USA 2007, di Sheldon Wilson con Sean Patrick Flanery, Stephen Mchattie, Kristin Booth, Rod Taylor

Che belli, i film che istigano all'odio verso le minoranze. In questo caso, i mennoniti, comunità di protestanti simili agli amish ma che possono guidare la macchina. Questi figuri, oltre a rovinare la vita ai figli che cercano di integrarsi con la popolazione, e a bullarsi delle loro monumentali barbe (che in alcuni casi sono clamorosamente posticce), hanno anche la bella pensata di nascondere a tutti l'infezione da mucca pazza che ha colpito il loro bestiame, causando così un'invasione di corvi pazzi che cibatisi delle carcasse delle mucche, sono stati infettati a loro volta. Naturalmente il virus sui corvi ha un effetto un tantino diverso che sulle povere mucche: i volatili acquisiscono una forza sovrumana, un'intelligenza notevolissima (per quanto i corvi siano realmente animali intelligentissimi) ma soprattutto un'inestinguibile fame di carne umana.
Spetterà allo sceriffo Wayne, all'ultimo giorno di servizio prima di trasferirsi in città, salvare la cittadina di provincia da questa terribile minaccia: aiutato dal (forse ex) alcolizzato Clyde, cercherà pure di salvare un gruppetto di ragazzine petulanti come se ne sono viste raramente.
Già dalle premesse, pare logico che questo film (che tecnicamente è un tv movie, ma che è stato anche presentato ad alcuni festival) sia destinato ad affogare in un mare di banalità profondo come la fossa delle Marianne, e in effetti il tutto si svolge in maniera alquanto prevedibile fino all' incredibile e sconvolgente (se non si capisce sono sto facendo del sarcasmo) colpo di coda finale.
Penso che si sia capito che questo film è una triste, miserabile pagliacciata da due stelle, anche se alcune sue divertenti caratteristiche sono state in grado di farmene dubitare in almeno un paio d'occasioni. In primo luogo, l'atteggiamento inspiegabilmente timoroso che le persone hanno nei confronti dei corvi anche prima che essi inizino a uccidere. Poi, l'incredibile letalità degli uccellacci, bastano un paio di ferite per uccidere una persona, manco avessero intinto il becco nel cianuro: esemplare la scena della morte del vicesceriffo, un uomo grande e grosso che una volta finite le munizioni si accascia a terra attaccato da due o tre corvi al massimo. Ora, d'accordo che le beccate fanno male, ma dato che la scena si svolge in strada a non più di cinque metri dalla porta del suo ufficio, il tutto ha un effetto piuttosto comico.
Infine è interessante notare che se gli yankees fossero stati a conoscenza di un rivoluzionario apparato tecnologico chiamato "tapparella" probabilmente non ne sarebbe morto neanche uno.
L'ultima rimostranza che mi viene da esprimere è per la mancanza quasi totale di gore: qualche effetto sanguinolento e qualche bulbo oculare strappato avrebbero reso un pochino più interessante quest'inutile produzione, che così com'è ricorderò solo per avermi fatto scoprire che fine ha fatto Sean Patrick Flanery, che apprezzavo tanti anni fa guardando Le avventure del giovane Indiana Jones...
Una brutta fine, a quanto pare.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO **

lunedì 22 giugno 2009

Primal Park - lo zoo del terrore


PRIMAL PARK - LO ZOO DEL TERRORE - Attack of the sabretooth - USA/Australia 2005, di George Miller con Robert Carradine, Stacy Haiduk, Nicholas Bell, Brian Wimmer

A volte anche le poche certezze che abbiamo nella vita sono destinate a crollare.
Io, per esempio, ero convinto che non fosse umanamente possibile creare un film ispirato a Jurassic Park peggiore del Chicken Park di Jerry Calà, invece mi sono dovuto ricredere dopo aver visionato questo capolavoro.
Primal Park, dunque: un film che può vantare una sceneggiatura talmente sconnessa, illogica e frammentaria da sconcertare. In pratica c'è il parco, non con i dinosauri ma con le tigri dai denti a sciabola, c'è il padrone del parco, c'è il gruppo di ragazzotti imbecilli che non si sa perchè siano lì all'incontro con i potenziali finanziatori (sul serio, non si sa), c'è il servizio di sicurezza del parco costato un miliardo di dollari che è composto da 4 (QUATTRO, di cui due sono gravemente obese) persone armate con fucilini del diciannovesimo secolo. Tutti questi personaggi ed elementi sono mescolati in modo assolutamente casuale, le loro azioni non rispondono a nessun criterio logico e hanno una strana tendenza a teletrasportarsi da un luogo all'altro senza che si sappia il come ed il perchè. Inoltre, i dialoghi sono talmente scritti male che a volte non si riesce a capire di cosa diavolo stiano parlando i personaggi. Gli attori, del resto non ci aiutano con le loro performance atroci.
Mentre questa pantomima imbarazzante procede stancamente tra intrighi e momenti comici irresistibili (una delle ragazze insulta il compagno dandogli del "pezzo di fango"), oltretutto tradendo la sua origine televisiva mostrandoci pietosamente gli stacchi destinati alla pubblicità, possiamo goderci qualche sporadica apparizione delle tigri dai denti a sciabola, tigri che - come spiega un tizio che sembra Poncharello col mascara - sono bulimiche, ovvero dopo aver mangiato vomitano per poter mangiare di nuovo. Ottimo pretesto per spiegare come mai due sole tigri mietono così tante vittime, non c'è che dire.
I letali felini sono realizzati molto male in computer graphic e i momenti "horror" sono generalmente brutti e stupidi come tutto il resto in questo film. Da segnalare perle di umorismo come quando il capo della sicurezza e due dei giovani trovano il cadavere dilaniato di una loro amica, e lui li avverte di stare attenti, che il sangue è scivoloso e potrebbero cadere e farsi male. O quando li mette in guardia che se non seguono i suoi ordini potrebbero finire anche loro così o peggio, e alla giusta domanda se sia possibile finire peggio di così, lui stringe gli occhi e risponde "sì....pezzi più piccoli".
Arrivati ormai agli ultimi minuti della pellicola, stavo già valutando se insignire quest'opera dell'onore della stelletta singola o meno, quando è giunto in mio aiuto il climax di tutti i climax. Una scena che poteva essere girata con un semplice modellino di polistirolo e la spesa di poche decine di euro è stata invece realizzata in computer graphic, ma di una qualità così ignobile da lasciare attoniti. Se non avete paura di rovinarvi il finale, potete vedere di che si tratta cliccando sul video sottostante...
Primal Park: l'ennesima dimostrazione che quando si raggiunge il fondo, si può sempre cominciare a scavare... e che al mondo c'è sempre qualcosa di peggio di Jerry Calà.
Quasi quasi rivaluto anche Vita smeralda.....
IL GIUDIZIO DEL CRITICO *

lunedì 15 giugno 2009

KEN IL GUERRIERO - LA LEGGENDA DI RAOUL


KEN IL GUERRIERO - LA LEGGENDA DI RAOUL - Shin Kyuseishu Densetsu Hokuto no Ken - Raō Den II Gekitō no Shō, Giappone 2007, di Toshiki Hirano, scritto da Buronson e Tetsuo Hara

Che bello, poter scrivere di Kenshiro nel 2009.
Non mi sarei mai immaginato, quando alcuni anni fa venivo a conoscenza del progetto di riportare in vita il guerriero di Hokuto, che questi prodotti sarebbero arrivati anche nelle nostre sale cinematografiche. Sono felice di essere stato smentito; evidentemente, e questo non può non farmi piacere, la popolarità di questo personaggio continua ad essere grande nel nostro paese, nonostante le generazioni cambino e la serie animata non abbia una replica televisiva ormai da diversi anni.
Il primo film, La leggenda di Hokuto, uscì (in Italia) nel luglio 2008 ottenendo quasi inaspettatamente un buon risultato, sia di pubblico che di critica: incredibile a dirsi, pure la maggior parte dei critici nostrani ne parlò sui media generalisti con cognizione di causa, spesso cogliendone anche il messaggio. Il secondo capitolo, La leggenda di Julia, è uscito solo in DVD, ma niente paura: anche in Giappone è stato così, faceva parte del progetto. La leggenda di Raoul è dunque la terza di cinque parti: seguiranno quelle di Toki (in DVD) e, infine, Kenshiro stesso.
Interessante l'idea che sta alla base di questa serie di film: ripresentare gli eventi principali della prima serie televisiva con il punto di vista di vari personaggi, mettendoli quindi in una luce differente e svelando alcuni retroscena inediti. In particolare, questo film dedicato a Raoul ripercorre le vicende a partire dalle cinque forze di Nanto fino alla fine della prima serie: chiaramente sono stati fatti dei tagli (le cinque forze sono diventate in pratica tre: non c'è traccia di Huey ma soprattutto di Juza) ma ciò che rimane è ugualmente interessante.
Interessante per gli estimatori della serie, sia chiaro: dubito che uno spettatore che non conosce il manga o l'anime possa apprezzare più di tanto. Ma del resto, è agli appassionati che si rivolgono gli autori, ed ecco quindi apparire numerosi i riferimenti a personaggi e situazioni più o meno accessibili solo agli esperti, dall'isola degli Shura a Orca Rossa, passando per il generale Barga che non si era mai visto nell'anime, ma solo negli ultimi capitoli del manga; fa il suo ritorno anche Reina, il personaggio creato appositamente per questa nuova serie di film. Sarà lei la madre del figlio di Raoul? speriamo che prima della fine ci verrà svelato questo mistero...
E così, tra tizi con la cresta che esplodono allegramente in una fontana di sangue e omaccioni assurdamente muscolosi che si sciolgono continuamente in lacrime, la tragedia si consuma, con i medesimi pregi e difetti che questa saga ha sempre avuto, primo fra tutti un eccesso di melodramma che sfiora a volte il ridicolo: ma è giusto che sia così.
La realizzazione tecnica è di buon livello, ottimi il character design (nel quale è coinvolto anche Tsukasa Hojo per i personaggi femminili) estremamente fedele al tratto originale di Tetsuo Hara, e i disegni, un po' scarna e ridotta al minimo l'animazione, ma del resto questo è un problema comune a tutte le produzioni giapponesi di oggi (con l'eccezione delle opere dello Studio Ghibli, Otomo o Satoshi Kon, ma si parla di budget ben superiori): l'animazione costa molto più di una volta, infatti da questo punto di vista il vecchio film degli anni 80 era decisamente superiore!
E' inevitabile, credo, che il mio giudizio per un film di questo tipo non possa essere oggettivo: per chiuque non sia cresciuto disegnandosi le sette stelle di Hokuto sul petto con la biro e urlando "uatà" dava credito a voci di corridoio che parlavano di terze, quarte, settime (!) inesistenti serie che venivano trasmesse solo nella terra del sol levante, non vale più di due stelline.
Ma io, come mi pare sia chiaro, faccio parte di quella categoria...
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ****

domenica 7 giugno 2009

Dead Snow

DEAD SNOW - Død snø, Norvegia 2009, di Tommy Wirkola con Stig Frode Henriksen, Charlotte Frogner, Ørjan Gamst, Vegar Hoel

Ah, la Norvegia.
Il suo PIL pro capite è il secondo al mondo, la criminalità ridotta al minimo, quasi inesistenti problemi derivanti dall'immigrazione. Un sistema educativo eccellente.
Un paese dove l'incredibile bellezza della natura incontaminata ti lascia senza fiato. Dove le donne sono tutte alte, bionde e belle, ma non se la tirano come in Italia. Anzi, può capitare che un gruppo di belle figliole vada in vacanza in un luogo isolato con dei ragazzi quasi sconosciuti uno più sfigato dell'altro. Qui, tra la maestosità delle montagne innevate, tra giochi e palle di neve, il ciccione nerd del gruppo non può neanche recarsi a defecare senza essere raggiunto da una delle suddette belle figliole, ansiosa di consumare un ardente amplesso direttamente sulla tazza. Purtroppo questo quadro idilliaco presenta una macchia, costituita da un ben nutrito gruppo di soldati nazisti zombie che gironzolano nei paraggi da una cinquantina d'anni...
Ebbene sì, per la gioia di noi tutti, ma soprattutto la mia, i nazi zombies sono tornati, in un film che dopo un primo tempo decisamente noiosetto dove accade ben poco e non si capisce quale direzione voglia prendere, a un certo punto sterza decisamente verso la commedia horror e pigia l'acceleratore regalandoci una divertente e grandguignolesca mattanza di morti viventi, all'insegna di falci e martelli - usati doverosamente insieme - coltellacci che tagliano corpi a metà manco fossero i miracle blade dello Chef Tony, fucili, motoseghe e armamentari vari. C'è pure un tizio che monta una MG42 davanti a una motoslitta. Le gag si susseguono a ritmo serrato tra sbudellamenti e auto-amputazioni degne di Bruce Campbell e alcune sono davvero riuscite (una scena con protagonista una bottiglia molotov è da standing ovation). Insomma, nonostante il basso budget e la sceneggiatura che potrebbe essere stata scritta sul tovagliolo di un bar (e non escludo che sia stato così: i ragazzi sono nella baita - arrivano gli zombie - massacro. Titoli di coda) il film riesce a divertire, grazie anche all'aiuto del miglior scenografo del mondo, ossia la meravigliosa natura scandinava. Peccato che giri a vuoto per tre quarti d'ora prima di ingranare la marcia, altrimenti ci saremmo trovati di fronte a un piccolo cult movie, ma tutto sommato non ci si può lamentare troppo.
Ricapitolando: paesaggi stupendi, gnocche e zombie nazisti. Domani vado in agenzia viaggi....
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ***

NB - il film è ancora inedito in Italia, la versione visionata è quella in lingua originale con sottotitoli

martedì 19 maggio 2009

Franklyn


FRANKLYN - Francia/Gran Bretagna 2008, di Gerald McMorrow con Eva Green, Jay Fuller, Bernard Hill, Art Malik, Kika Markham, Ryan Phillippe, Gary Pillai, Sam Riley

Fino a qualche anno fa l'idea di realizzare un cinecomic cupo e gotico ambientato in un mondo distopico sembrava geniale: oggi un po' meno, dato il fiorire di pellicole del genere che c'è stato nell'ultimo periodo. Ci sono però degli elementi che distinguono questo Franklyn dalle opere che lo hanno preceduto: innanzitutto l'essere una produzione britannica a (relativamente)basso budget, in secondo luogo - nonostante i trailer e la promozione lo spaccino per un film d'azione/fantascienza dal taglio palesemente fumettistico - qui si è voluto fare qualcosa di diverso a livello di sceneggiatura.
Infatti avremo a che fare con quattro personaggi, protagonisti di altrettante storie parallele, tre ambientate nella Londra di oggi, e una nell'immaginaria "città di mezzo", megalopoli dalle atmosfere steampunk dove la religione, qualunque essa sia, la fa da padrona. Naturalmente le quattro storie sono destinate ad incontrarsi nel finale, ma - e qui sta la sorpresa - l'azione è davvero poca: vedremo le peregrinazioni di un uomo anziano alla ricerca del figlio, fuggito da un ospedale psichiatrico; la storia di una giovane artista afflitta da una fortissima depressione; la vicenda di Milo che, scaricato dalla fidanzata a pochi giorni dalle nozze, si mette alla ricerca di un'amica d'infanzia. Ma soprattutto potremo seguire le gesta di Franklyn, vigilante mascherato, unico ateo in una città dove domina il fanatismo...
Devo dire che il film, per buona metà, non convince per niente. Certo le scene ambientate nella città di mezzo sono affascinanti e raffinate (anche se ho trovato un po' troppo marcata la derivazione da altre opere, ma ci tornerò), ma passa veramente troppo tempo prima che vengano dati allo spettatore i primi indizi su come possano le tre linee narrative essere collegate. Perchè è una cosa ovvia fin dall'inizio, ma il film tergiversa per quasi un'ora senza un senso, dando nettamente la sensazione che voglia essere incomprensibile apposta, e il rischio, altissimo, è quello di annoiare il pubblico.
Giunto alla fine, la mia impressione è che forse avrebbero fatto meglio a tagliare una delle quattro storie (direi decisamente quella di Milo) e approfondire un po' di più le altre: in questo modo avrebbero reso il ritmo della narrazione meno frammentato.
Ma questi ovviamente sono discorsi che lasciano il tempo che trovano: com'è il film?
E' senz'altro ben realizzato, considerata l'esiguità del budget a disposizione (12 milioni di dollari dichiarati): discreto il cast, buona la fotografia, più convincente nelle scene "normali" che in quelle nella città di mezzo, e a proposito, voglio tornare un attimo sul discorso delle influenze.
La principale fonte di ispirazione per gli autori è senz'altro Alan Moore: se il protagonista è fin troppo simile a Rohrshach di Watchmen (anche l'elemento scatenante la sua crociata è identico, il rapimento finito male di una bambina), l'atmosfera deve molto a V for vendetta. Ma non solo: sono chiare le influenze milleriane (sin city, e il più recente e pessimo the spirit, che Will Eisner possa riposare in pace...) nonchè di altri film del genere come il classico Blade Runner o Dark City. Insomma, il tutto è ben realizzato, ma sa un po' di già visto, e i vari clichè del genere, come la voce fuori campo, non mancano. In pratica il risultato è curiosamente quello di un film che riesce ad essere più insolito ed originale nell'idea che sta alla base della sceneggiatura che non nella realizzazione vera e propria. Io non sono rimasto molto convinto, ma non credo che comunque meriti la stroncatura. Tutto sommato, se visto con la dovuta attenzione, pena il non capire alcuni passaggi fondamentali, è un prodotto con la sua dignità.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ***

giovedì 14 maggio 2009

Star Trek

STAR TREK - USA 2009, di J.J. Abrams con Chris Pine, Zachary Quinto, Eric Bana, Winona Ryder, Leonard Nimoy, Simon Pegg

Le nostre sale cinematografiche sono letteralmente invase da trilogie, quadrilogie, serie infinite di film che cambieranno il cinema, che "quest'anno" (ci avete fatto caso? praticamente tutti i trailer al giorno d'oggi iniziano con questa frase) sconvolgeranno le nostre povere menti, e così via. Va da sè che più roboanti sembrano le promesse, più deludente è in genere il risultato, e difficilmente si riesce a vedere un blockbuster veramente degno di tale nome, che svolge quello che dovrebbe essere il suo compito primario: divertire il pubblico. Qualche eccezione, fortunatamente, ancora c'è. Questa undicesima pellicola dedicata a uno dei franchise più longevi e sfruttati degli ultimi quarant'anni, però, è davvero un evento cinematografico di una certa importanza, dato che stiamo parlando di una serie che ha veramente fatto la storia del cinema e della televisione, ma anche e soprattutto della cultura pop del ventesimo secolo.
La scelta dei realizzatori è stata quasi obbligata: per far ripartire il serial, ormai appesantito dalla continuity di non meno di ventotto stagioni televisive senza contare i film e il cartone animato, è necessario rispolverare i suoi personaggi più amati e iconici, e mostrarci come tutto iniziò; ancora di più, grazie a uno stratagemma della trama, in pratica questo film si svolge in una sorta di continuity alternativa a quella originale (e qui già i fan storceranno il naso....lo ammetto: io l'ho storto).
Vedremo così un giovane James T. Kirk alle prese con l'accademia della flotta stellare, fare la conoscenza di Spock nella circostanza del famoso test della Kobayashimaru (e qui i fan sorrideranno...lo ammetto, io ho sorriso), e via di seguito l'introduzione di tutti i componenti del celebre equipaggio, anche se va detto che il film è talmente incentrato su Spock e Kirk da lasciare molto sullo sfondo tutti gli altri, ed è un peccato, Bones e Scotty avrebbero meritato un po' di spazio in più. Ma la storia scivola via piuttosto liscia, classica vicenda a base di romulani vendicativi, mondi distrutti e via dicendo. Nel complesso, mi è parsa una sceneggiatura adeguata, con qualche forzatura ma abbastanza nella tradizione Trek.
Lo spettacolo, nelle due ore di pellicola, non manca affatto. Dopo un eccellente prologo che ci scaraventa nel mezzo dell'azione, scopriamo che il regista ha deciso di tenere tiratissimo il ritmo per tutta la durata del film, e tutto sommato la scelta è vincente: gli effetti speciali della Industrial light and magic sono ottimi come in generale lo è tutto l'aspetto visivo del film, che riesce a riprendere l'aspetto classico di navi, plance, uniformi rendendolo attuale e credibile senza mancare di rispetto al design originale. La colonna sonora di Michael Giacchino (che io considero il miglior compositore di colonne sonore attualmente, quella de Gli incredibili è semplicemente fantastica) è di ottimo livello, misurata e non invasiva: peccato che si sia deciso di relegare i temi musicali classici della serie TV solo nei titoli di coda. Ma l'elemento tecnico che senza dubbio brilla su tutti gli altri è il sound design. In una sala adeguatamente attrezzata, è veramente una gioia per le orecchie, davvero perfetto.
Pare che abbiamo di fronte un capolavoro, dunque. Beh, non lo so. E' difficile dare un giudizio allo Star Trek di JJ Abrams, già padre di Lost e Cloverfield. Senz'altro è un prodotto tecnicamente ineccepibile, e il pubblico vergine di Star Trek apprezzerà (cosa che in effetti sta avvenendo, anche se da noi la gente affolla le sale per vedere quella porcata di San valentino di sangue in 3D). Pare che i trekkers più radicali stiano insorgendo, e posso capire il perchè. Il punto è che manca completamente la forza morale e lo spessore di un Picard: se dovessi scegliere un termine per definire l'universo trek sarebbe etico: il dilemma delle scelte difficili è sempre stato il fulcro delle storie, mentre qui si è scelto di prendere una via più semplice, spettacolare e fracassona. Del resto, mala tempora currunt...
Insomma, non è Star Trek. E' qualcosa che gli assomiglia parecchio, diciamo, ed è un ottimo blockbuster di fantascienza. Togliamoci per un momento le magliette con scritto "Worst episode ever" e le orecchie a punta, e godiamocelo.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ****

domenica 10 maggio 2009

Dragonball evolution

DRAGONBALL EVOLUTION - USA 2009, di James Wong con Justin Chatwin, Joon Park, Jamie Chung, Emmy Rossum, James Marsters, Chow Yun-Fat

Esistono dei film che, nonostante disponibilità finanziarie quasi inesistenti, riescono a venire alla luce. A volte sono dei piccoli capolavori che lanceranno la carriera di un autore di talento. Molto più spesso si tratta invece di veri aborti cinematografici, e questo per una semplice ragione: le persone prive di talento sono spesso molto più tenaci e fortunate di quelle che ce l'hanno. Questi filmacci di cui parlo a volte riescono inspiegabilmente a varcare i confini nazionali e finire nelle sale o nelle videoteche di tutto il mondo, e quando ti arrivano in mano e la loro tremenda pochezza scorre sullo schermo del televisore al ritmo di 24 fotogrammi al secondo, non si può non provare in fondo al cuore un po' di affetto per l'inetto che ha lottato con le unghie e con i denti contro ogni buon senso ed è riuscito a portare nel tuo lettore DVD scene in cui si passa dal giorno alla notte e viceversa nel breve spazio di campo e controcampo, dove gli attori recitano come dei babbuini svogliati, dove il concetto di "logica" non ha ancora trovato albergo. Ecco, io a questi film non posso fare altro che volere bene, come mi pare di aver già dimostrato.
Se opere del genere si possono apprezzare per l'umorismo involontario di cui spesso traboccano, e data l'aria dilettantesca con cui tutto è stato realizzato, gli si perdona il fallimento sotto qualunque profilo tecnico o artistico, non si può assolutamente essere teneri nei confronti di una produzione da 100 milioni di dollari.
Dragonball evolution riesce nella difficilissima impresa di non azzeccare assolutamente nulla. Se ci pensate, non sono molti i film (ma questo discorso potrebbe essere esteso molte altre cose) nei quali neanche uno degli elementi di cui sono composti è non dico "buono" o "discreto" ma nemmeno corretto. L'unico altro "capolavoro" che mi sento di accostare a Dragonball evolution - e a cui in effetti assomiglia da diversi punti di vista - è Street fighter, quello con Van Damme: mi pare che la cosa si spieghi da sè.
Dragonball e Street fighter hanno in comune la stessa mancanza di rispetto per i personaggi e l' opera originale da cui sono tratti. E ne approfitto per precisare che a me del manga e dell'anime di Akira Toriyama non me ne frega assolutamente nulla, anzi, li ho sempre cordialmente detestati... Ma qui siamo oltre ogni limite della decenza: la storia va avanti a salti senza la minima connessione logica tra una scena e l'altra, e le singole scene annegano in un mare di banalità sconcertante. I personaggi sono delle ridicole macchiette per i quali è impossibile provare empatia (chissà quanti soldi avranno dato a Chow Yun Fat per prendere parte a questa roba), ogni singolo elemento del film trasuda una superficialità e cialtroneria veramente incredibile. Vogliamo parlare dei costumi che non sarebbero credibili in una festa di carnevale delle elementari? del design degli oggetti di scena e delle scenografie, dove le strade di una città futuristica sono invase da Matiz, Ka e vecchie Seat Ibiza, che evidentemente gli autori considerano auto fantascientifiche? Parliamo degli effetti speciali, mediamente mal fatti e in alcune scene imbarazzanti? Dei vergognosi plagi di scene intere da altri film? (una dal Signore degli Anelli clamorosa, ma fosse la sola) Dei combattimenti, lentissimi e finti come i capelli di Berlusconi? Della fotografia satura di infiniti layer di photoshop, dell'orribile colonna sonora....no, basta, mi fermo qui.
L'aspetto drammatico di tutto questo è che il risultato finale non causa risate nello spettatore, come fanno The curse of the maya o Weasels rip my flesh, nella loro ingenuità un po' naif. No, qui l'unica reazione che si può provare di fronte a tale scempio è solo l'irritazione che nasce quando ci si sente presi per il culo. Ah ecco, ho trovato un altro film dello stesso livello (anche se fatto con un decimo del budget): Dungeons & Dragons. Ma Dragonball è più brutto. Complimenti vivissimi...
IL GIUDIZIO DEL CRITICO **

lunedì 4 maggio 2009

Botched

BOTCHED - PAURA E DELIRIO A MOSCA - Botched, Irlanda/Germania/GB/USA 2007, di Kit Ryan con Stephen Dorff, Jaimie Murray, David Heap, Alan Smyth

Sorvoliamo sul solito sottotitolo italiano attira-gonzi: ovviamente questo film (conosciuto anche come 13) non ha nulla a che vedere con il quasi omonimo trip di Terry Gilliam. Però su una cosa ci ha azzeccato, in effetti il delirio non manca affatto in questa curiosa coproduzione irlandese- tedesca- angloamericana.
Ci troviamo ad assistere alle peripezie di Ritchie, ladro professionista che penetra in un grattacielo di Mosca insieme a due bizzarri complici russi, allo scopo di rubare una preziosa e antica croce. Costretti a prendere degli ostaggi, i tre criminali si trovano bloccati al tredicesimo piano, apparentemente deserto, ma in realtà usato dai padroni del palazzo per i loro giochi: trattasi infatti dei discendenti di Ivan il terribile (non quello di Fantozzi, purtroppo), dediti a riti sanguinari. Per nostra fortuna una storia stupida come questa viene trattata nel modo giusto, ovvero con abbondanti dosi di comicità splatter. Le atmosfere brit ricordano un po’ il Guy Ritchie di The snatch o Lock & Stock, mentre nelle scene a base di sangue e frattaglie il riferimento è come al solito, il sempiterno Sam Raimi; e il trucco riesce: invece di annoiarsi, lo spettatore si affezionerà a un gruppo di personaggi ben riusciti, tra i quali spicca la figura di un attempato reduce da chissà quante guerre che si autodefinisce “il maschio alfa” ed è protagonista di alcune delle migliori gag della pellicola. Caso strano per un prodotto di questo genere, anche i cosiddetti cattivi sono efficaci e divertenti, la reincarnazione di Ivan – una specie di vichingo che uccide le sue vittime esibendosi in leggiadri balletti e allestisce trappole mortali a base di disco music – è stupida quanto buffa. E’ un peccato che questi indubbi pregi non vadano di pari passo con una scrittura un minimo più attenta: senza qualche passaggio a vuoto di troppo, specialmente nella parte iniziale e nel finale veramente un po’ troppo buttato là, L’esordiente alla regia Kit Ryan poteva tirare fuori da questo Botched un piccolo gioiello, invece dell’onesto filmetto adatto a una serata con gli amici che invece è.Non che sia poco, ad ogni modo, specialmente di questi tempi. Come di consueto gli adattatori italiani hanno cercato di rovinarlo con un doppiaggio ignobile, per cui, se potete, recuperatelo in lingua originale. IL GIUDIZIO DEL CRITICO ***

mercoledì 29 aprile 2009

Shakma - morire per gioco


SHAKMA - MORIRE PER GIOCO
- Shakma, USA 1990, di Tom Logan e Hugh Parks con Christopher Atkins, Amanda Wyss, Ari Meyers, Roddy McDowall, Rob Edward Morris, Tre Laughlin

Il professor Sorensen è un uomo molto impegnato: di giorno si dedica con passione a bislacchi esperimenti sugli animali - nel caso, prendere quello che definisce "l'animale più aggressivo del mondo", ovvero un babbuino di nome Shakma, e iniettargli nel cervello una sostanza atta ad amplificare detta aggressività rendendolo di conseguenza incazzatissimo - e di notte si chiude nell'università deserta con i suoi studenti più dotati (mi immagino come debbano essere gli altri) immergendosi in una specie di gioco di ruolo dal vivo in pieno stile anni 80, con tanto di porte chiuse, enigmi, pergamene, walkie talkie e tutti i crismi del caso, il tutto monitorato da un possente Commodore 64.
Il loro gioco, del quale peraltro è assolutamente impossibile capire funzionamento e regole, ma sembrano tutti divertirsi tantissimo, viene però trasformato in un incubo da una presenza mortifera che si aggira per l'edificio urlando e sbattendosi contro le porte: si tratta ovviamente di Shakma, che, sopravvissuta non si sa come a un'iniezione che avrebbe dovuto mandarla all'altro mondo, si abbandona a un'orgia di sangue.
Una delle caratteristiche tipiche dei film horror/slasher e sottogeneri vari, specialmente quelli con un budget di soldi e di idee molto limitati come in questo caso, è l'incredibile stupidità che guida le azioni dei protagonisti, che in pratica vengono sterminati esclusivamente a causa della loro incapacità di compiere semplicissime azioni che li salverebbero, a riprova delle teorie del professor Darwin.
Ho spesso pensato che si tratti almeno in alcuni casi di una scelta consapevole degli sceneggiatori, con lo scopo di far sentire lo spettatore intelligente di fronte a simili manifestazioni di idiozia e non farlo riflettere sul fatto che lo stupido è lui che sta buttando via del tempo della sua vita per vedere dei pessimi film. Se questa mia ipotesi possa essere vera o meno, ancora non saprei dire: sono sicuro però di un fatto, che i personaggi di questo Shakma sono probabilmente i più imbecilli che mi sia mai capitato di vedere sullo schermo. Si aggirano per i corridoi come dei dementi senza uno scopo, rinunciano a sfondare una porta dietro la quale c'è la salvezza dopo una spallata patetica degna di Stephen Hawkins, non sono in grado di spaccare una finestra per fuggire, l'idea di chiudersi in uno sgabuzzino per qualche ora fino all'arrivo di tutti gli altri studenti e professori non li sfiora nemmeno. A parte una specie di colpo di genio nel finale, è tutto un correre inseguiti dal letale cercopiteco e tener chiuse le porte urlando mentre la belva ci si avventa contro urlando ancora più forte.
E' ovvio che personaggi del genere meritano la fine orrenda che faranno, e in questo senso lo spettatore viene abbastanza soddisfatto. Per il resto non è che ci sia molto da dire, il film è interamente girato in un paio di corridoi, i vari aspetti tecnici si attestano su livelli di scarsezza abbastanza notevole, e gli attori recitano come delle scimmie, molto di più dello stesso Shakma, interpretato da un certo Typhoon, babbuino accreditato nei titoli di coda già attivo nel cinema in parecchie altre pellicole; infatti è senza dubbio il migliore del cast.
Un film sostanzialmente noioso, da due stellette, senz'altro. Però il carisma di Shakma è grande, il look anni 80 scorre potente nel DVD (sarà un caso che la qualità dell'immagine è degno di una videocassetta?)...
Non posso resistere, hai vinto, Shakma.
IL GIUDIZIO DEL CRITICO *

martedì 7 aprile 2009

House of blood

HOUSE OF BLOOD - Chain reaction, Germania 2006, di Olaf Ittenbach con Christopher Kriesa, Martina Ittenbach, Simon Newby, Wolfgang Mueller

Siamo su una strada interstatale nei dintorni di Seattle, e una serie di casualità provoca un incidente tra la macchina di un medico e un pulmino che trasporta un gruppo di detenuti alla prigione di stato. I detenuti colgono l'occasione al balzo riuscendo ad avere la meglio sui propri guardiani e, preso il medico in ostaggio per prendersi cura di uno di loro ferito, si addentrano nel bosco cercando di raggiungere il confine con il Canada. Strada facendo si imbattono in una catapecchia abitata da una piccola comunità di fanatici religiosi (con tanto di altarino e crocifisso dentro casa) ma mettere piede nella "house of blood" si rivelerà un terribile errore...
Per fare una disamina di questa pellicola, occorre iniziare dalle sue premesse. E' un film splatter tedesco girato on video con un budget praticamente inesistente, e il regista, nonostante abbia al suo attivo una decina di film dei quali questo house of blood è il primo ad arrivare in Italia, è conosciuto più che altro come tecnico degli effetti speciali prostetici, principalmente per i capolavori di Uwe Boll. E già si è detto tutto. (se non sapete chi sia questo Uwe Boll, shame on you! vi dico solo che è considerato il peggior regista del mondo)
è evidente che la principale fonte d'ispirazione di questo film è dal tramonto all'alba, e più in generale il lato più sanguigno (è proprio il caso di dirlo) della produzione tarantinian-rodrigueziana, condito con abbondanti spruzzate del Sam Raimi dei tempi d'oro. Ma il tutto, ovviamente, realizzato con una sciatteria come raramente mi è capitato di vedere. Perchè se in un paio di momenti possiamo assistere a movimenti di macchina complessi e anche interessanti (addirittura delle carrellate ad effetto) che devono aver prosciugato gran parte delle esigue risorse finanziarie in mano al regista, e se gli effetti splatter sono generalmente piuttosto buoni, il resto è abominevole. Gli attori fanno rivalutare le fiction italiane, la direzione della fotografia sembra inesistente, e per buona parte del film (tutta la prima metà, in pratica) le vicende sono costantemente sottolineate da un commento musicale orribile degno di un film porno degli anni 70, che raggiunge il suo apice con una interminabile sequenza in cui ci viene mostrata un'operazione ai testicoli, il tutto con una musichetta allegrissima totalmente fuori luogo. Sulla sceneggiatura, un delirio senza capo nè coda infarcito da dialoghi esilaranti (su tutti uno dei detenuti che si atteggia ad Hannibal Lecter dei poveri citando Oscar Wilde, Nietszche e Freud a sproposito) credo che sia il caso di stendere un velo pietoso.
Grazie a tutte queste "qualità", il film non annoia e diverte parecchio, i livelli di gore sono ottimi e abbondanti, e alcune scene da antologia provocheranno omeriche risate negli spettatori. Naturalmente raccomando la visione con la compagnia giusta...
IL GIUDIZIO DEL CRITICO *

sabato 4 aprile 2009

Ong Bak 2

ONG BAK 2 - Thailandia 2008, di Tony Jaa con Tony Jaa, Sorapong Chatree, Sarunyu Wongkrachang

Solitamente la mia pigrizia mi impedisce di guardare film che non sono usciti nella nostra lingua. Quelli che già conosco e apprezzo li vedo rigorosamente in inglese in DVD, ma mi fa un po' fatica la prima visione con i sottotitoli, che in questo caso sono obbligati, trattandosi di un film tailandese che dubito raggiungerà mai i nostri scaffali, per non parlare delle sale cinematografiche. E' doverosa una digressione su Tony Jaa: questo mostro della natura sale alla ribalta nel 2003 con il film Ong Bak. Si trattava di una classica pellicola a base di arti marziali, ma le sue incredibili doti fisiche e gli splendidi combattimenti che finalmente mostravano in un degno film la bellezza della Muay Thai, l'antica arte marziale tailandese, resero questo film un grande successo in patria, e andò bene anche in occidente grazie a Luc Besson che (dopo averlo rimaneggiato in modo discutibile aggiungendo una sorta di replay e cambiando le musiche con l'aggiunta di abominevole rap francese per renderlo più cool) lo distribuì in Europa. La seconda fatica dell'attore fu The protector, dove le mazzate aumentano a livello esponenziale e raggiungono livelli stupefacenti, in particolare in un'incredibile piano sequenza lunghissimo e complicatissimo dove le ossa rotte si contano sull'ordine delle centinaia. Purtroppo i distributori nostrani ebbero la splendida idea di fare al film lo stesso trattamento che riservarono ai tempi all'ottimo Shaolin Soccer (e in dose leggermente minore, a Kung Fusion): tagliarono circa mezz'ora di film rendendolo letteralmente incomprensibile, con personaggi che appaiono e scompaiono e passaggi logici completamente assenti. L'orribile doppiaggio, anche se per fortuna i calciatori di serie A questa volta non erano coinvolti, metteva l'ultimo chiodo sulla bara di questo film che da noi penso abbiano visto in dieci.
Ma la popolarità di Tony Jaa in Thailandia era ormai enorme, e si pensò di affidare a lui il seguito del suo film più famoso, anche in veste di regista. Dopo mesi di lavoro, soverchiato dallo stress di gestire una produzione così grande e complessa (credo che si trattasse del film più imponente mai girato in Thailandia), e alle prese con lo sforamento del budget già sostanzioso, Tony fuggì nella foresta e nessuno seppe che fine aveva fatto(sul serio). Ricomparve poi a una trasmissione televisiva dove chiese perdono per il suo fallimento in lacrime come un bambino.
Il perdono giunse sollecito, Tony si rimise al lavoro e finì il suo film, che è esattamente quello di cui sto per parlare.
Questo Ong Bak 2 non c'entra nulla (o quasi) con il suo predecessore, trattandosi di un film in costume ambientato nel quindicesimo secolo: è a tutti gli effetti una versione tailandese dei wuxia plan cinesi (ovvero i vari Hero, La tigre e il dragone, ecc), genere cinematografico che io detesto, ritenendo detti film cinesi noiosi e ridondanti in modo quasi insopportabile. Per nostra fortuna questa volta tutto scorre molto più rapidamente e piacevolmente, con alcune scene di sicura efficacia, ed è supportato da un comparto tecnico di tutto rispetto: magari producessero un film di questa qualità in Italia...
Senza stare ad annoiarvi con la trama, comunque piuttosto semplice, vi posso assicurare che siamo di fronte a un dignitosissimo film d'azione e avventura, e che la ricercatezza degli ambienti e dei costumi, esteriorizzazione di una cultura così antica e raffinata a noi però totalmente sconosciuta, rende la visione affascinante.
Naturalmente non mancano i difetti: una certa ingenuità di fondo, che fa il paio con la solita regia orientale pomposa, e soprattutto la scarsità di combattimenti. Non che manchino, ma con i due film precedenti ci eravamo abituati a ben altro, e io ammetto che mi aspettavo un'ora e mezza di Tony Jaa che prendeva a calci il mondo, e lui ha invece cercato di fare un film "serio" e pure "artistico", se vogliamo.
Non che sia un male, ma dai commenti che sto leggendo in rete in questi giorni, noi fan volevamo le mazzate....
IL GIUDIZIO DEL CRITICO ***
NB - la versione visionata è ovviamente in tailandese, per fortuna qualche anima pia ha realizzato i sottotitoli in italiano...